SALVIAMO IL DIALETTO !
di MICHELE
MAROTTA
Seminario Convegno 21 Dicembre 2010 Liceo Scientifico
Genzano Aula Magna Ore 16,00
Relazione introduttiva del Seminario Convegno
Parlare alla soglia del 2011 di
lingua e di dialetto. Parlare della esigenza di “salvare il dialetto”,
mentre da diverse parti si insiste sul fatto che moltissimi termini della lingua
italiana sono in disuso da diversi anni e sussiste un rischio di
“sopravvivenza” per la stessa lingua italiana. Lo scorso anno l’editore
Zanichelli proponeva alle scuole secondarie superiori un concorso per il
riutilizzo creativo di 50 parole considerate irrinunciabili, anche e soprattutto
in ambito scolastico e culturale, poiché venivano ritenute, fra le 200
“parole da salvare”, quelle con il rischio di determinare, a causa del loro
abbandono, lacune nella lingua italiana ed impoverimento delle capacità
espressive. Fra queste parole spiccavano termini come “accozzaglia”,
“canuto”,”caterva”, “ghiribizzo”, “zotico”. Prima dell’inizio
dell’estate, nel mese di maggio sempre dello scorso anno, ad elezioni
regionali concluse, mentre l’argomento del giorno era rappresentato dai
Mondiali di calcio in Sudafrica, il giornalista Paolo Hutter di Repubblica
riportava nel settimanale “Il Venerdì”l’allarme dell’ex eurodeputata
Luciana Castellina in difesa della lingua italiana. A rafforzare la necessità
di difendere l’italiano, veniva riportata nell’articolo la proposta del
professore Massimo Arcangeli,curatore dell’Osservatorio Linguistico della
Zanichelli, di istituire un presidio della lingua italiana o di termini italiani
per evitare sempre più l’affermarsi nella lingua parlata dell’inglese, tale
da determinare, solo in Italia e non nelle altre nazioni come
la Francia
o
la Spagna
, una sorta di lingua franca denominata “angloitaliano” o “itanglese”,
per cui termini che in Italia vengono molto usati come “look”,
“business”, “fashion” non si trovano invece nella lingua parlata delle
altre nazioni europee, che pure deriva dalla comune matrice neolatina.
L’argomento della difesa dell’autonomia dell’Italiano, minacciato dalla
lingua anglosassone, costituirà quindi il tema della “Assise della lingua
italiana”che l’Associazione Dante Alighieri organizzerà nel 2011 nel bel
mezzo delle iniziative per i 150 dell’Unità d’Italia. Visto da questo punto
di vista il problema della difesa del dialetto e della conservazione e riuso dei
termini dialettali, nella miriade di dialetti che compongono il panorama
regionale e nazionale italiano, sembra perdere di consistenza e quasi di
eclissarsi. Ma non è così. E’giusto invece che accanto alla difesa
dell’italiano vi sia la riscoperta, la conservazione e il riuso del proprio
dialetto di origine, anzi la difesa e la salvezza dell’uno non può che
dipendere dalla “resurrezione” e dalla salvezza dell’altro. Occorre però
che vi sia chiarezza sul ruolo e sulle funzioni che, nell’ambito del proprio
spazio di utilizzazione, sono tenuti a svolgere la lingua nazionale e il
“dialetto”. Esemplari, a questo proposito, per sviluppare un approfondimento
del ruolo e delle funzioni della lingua e del dialetto è quanto affermava il
professore Arcangeli nell’articolo de “Il venerdì”di Repubblica un anno
fa e quanto ha affermato pochi giorni fa il giornalista del Corriere della Sera
Aldo Cazzullo in una pagina del Corriere del Mezzogiorno nella quale si parlava
della presentazione del suo ultimo libro “Viva l’Italia!” Arcangeli
sostiene: “Non sono i dialetti a rischiare l’estinzione. Qualche anno fa
qualcuno pensava che sarebbero scomparsi. Invece sono ancora vivi, se pur
cambiati, contaminati. Sono nati dei neo-dialetti, ma esistono. Sono parlati
anche da molti giovani, soddisfano un bisogno di espressività, si difendono da
sé. E’l’italiano ad essere minacciato, impoverito. Nell’introduzione
dell’ultimo dizionario Zanichelli abbiamo pubblicato 2.800 parole italiane da
salvare, parole come fragranza, garrulo, solerte, sapido, fulgore. Da una parte
i semplicismi,la tendenza alla banalizzazione da massmedia,dall’altro
l’invasione dei termini inglesi,o pseudoinglesi,anche quando non ce n’è
nessun bisogno.”Aldo Cazzullo nell’articolo “W l’Italia:orgoglio e
pregiudizi” di Antonio Fiore esprime, secondo l’articolista, nel suo libro i
due volti estremi di un‘Italia che viene considerata da Cazzullo
“eternamente piccola, meschina, ripiegata sul dialetto, sul mugugno, sulla
logica di campanile; la caricatura di quella meravigliosa ricchezza che è il
nostro essere diversi gli uni dagli altri.”
La circostanza della ricorrenza dei 150 anni
dell’Unità d’Italia può rappresentare un’occasione per riflettere sui
temi della unità politica, economica ed anche linguistica degli italiani, senza
trascurare di difendere le particolarità e le specificità regionali, dialetti
compresi. Sembra questa una opportunità ragionevole, oltre che unica, per
sentirsi uniti e riscoprire il vantaggio di una unità che non
esclude ma anzi favorisce la riscoperta e la difesa delle diversità in
un mondo e in un contesto così fortemente globalizzato e glocalizzato. Eppure
si sta verificando l’opposto: il centocinquantesimo dell’unificazione
italiana viene inteso come un pretesto per alimentare recriminazioni e
revisionismi, per rinfocolare tensioni e spinte disgregatrici, per provocare
riflessioni ad effetto, in ambiti e in settori che dovrebbero invece favorire un
approfondimento serio dei temi della unità nazionale e delle peculiarità
regionali. Desta perlomeno sconcerto la recentissima iniziativa della Rai che
sta per mandare in onda cinque spots pubblicitari che reclamizzano la
televisione pubblica e per fare ciò in occasione dei 150 anni dell’Unità
l’azienda televisiva pubblica si arroga il merito di aver contribuito(solo
dall’avvento della tv in Italia, cioè solo da un mezzo secolo)a diffondere la
lingua italiana, facendo finalmente comunicare fra di loro gli italiani, mentre
prima erano invece quasi attanagliati nella morsa della incomprensibilità dei
numerosi dialetti parlati. Qualcuno si è già risentito per questo affronto
fatto ai dialetti, che equivarrebbe alla loro demonizzazione e costituirebbe un
ripudio dell’idea nazionale, fondata sulla unità di identità diverse. Si è
quindi scatenata la reazione leghista in nome della salvaguardia del
regionalismo e del federalismo, che accomuna popoli e culture locali. A questo
punto, se ancora non si fosse capito, diventa invece ora del tutto evidente,
quello che
la Rai
intende veicolare e pubblicizzare: cioè che grazie alla tv di stato sembra
essersi compiuta l’unità linguistica e comunicativa degli italiani. Questo
riconoscimento implicito che
la Rai
si attribuisce ha qualche fondamento se si pensa a quanto da essa fatto nel
campo della televisione sociale con programmi come “Non è mai troppo
tardi”o con la produzione degli stessi sceneggiati televisivi degli anni
sessanta e settanta, ma certamente il merito che la tv si attribuisce è del
tutto sproporzionato rispetto
all’enfasi della pubblicità prodotta. In questo senso ha fatto molto di più
il cinema, non solo quelli dei films americani, doppiati in italiano o delle
stesse produzioni tutte italiane(si pensi ad Amedeo Nazzari e alle attrici
italiane più conosciute),ma anche il cinema misconosciuto e fatto oggetto di
critica negativa come quello di Totò. Ha fatto molto di più il
teatro,soprattutto la rivista, il melodramma, un orgoglio tutto italiano. Ha
contribuito alla conoscenza e alla diffusione della lingua italiana lo stesso
fenomeno della emigrazione interna che ha messo in contatto dialetti diversi,
facendo emergere l’esigenza di adoperare un’unica lingua a livello di
comunicazione. Anche le due guerre mondiali sono stati un fattore che ha
rafforzato l’utilizzo della lingua italiana da parte dei soldati provenienti
dalle diverse regioni italiane, che combatterono e morirono insieme per la
stessa idea di patria e di nazione. Tuttavia giustamente il dialetto non può e
non deve essere demonizzato, ma neppure assurgere al livello di strumento di
comunicazione e divenire un pretesto per la
riscoperta di una identità perduta da recuperare ed imporre.
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